La protesta

Chiude la raffineria Eni a Marghera, protesta dei lavoratori: "A rischio 400 famiglie, la svolta green è un bluff"

Ieri, lunedì 10 maggio 2021, gli impiegati hanno volantinato contro la chiusura del cracking di Marghera.

Chiude la raffineria Eni a Marghera, protesta dei lavoratori: "A rischio 400 famiglie, la svolta green è un bluff"
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La chiusura dell'impianto di cracking e di produzione di aromatici era stata annunciata da tempo. Così come tutta una serie di iniziative volte a rendere più sostenibili i comparti produttivi. Iniziative non ancora realizzate. Ciò che invece, giorno dopo giorno, sembra diventare sempre più concreto, è il rischio che alcuni dei 400 lavoratori del sito di Marghera possano perdere il posto di lavoro. L'incontro tra i vertici dell'azienda con i rappresentanti dei lavoratori sembra non abbia dato risposte, almeno per quanto riguarda i sindacati, "soddisfacenti" nell'ambito delle garanzie per gli impiegati.

Chiude la raffineria Eni a Marghera, protesta dei lavoratori: "A rischio 400 famiglie"

Già nel mese di marzo l'amministratore delegato Eni Claudio Descalzi aveva incontrato il sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, per annunciare la chiusura dell'impianto nella primavera del prossimo anno, spinta dalla volontà di mettere in atto una transizione green dell'area produttiva. Si era parlato, come già in passato, di economia circolare in quello che è sempre stato considerato un sito strategico.

Le sigle sindacali, tuttavia, di fronte all'annuncio dell'Ad, erano corse ai ripari, temendo che alcuni lavoratori potessero perdere il proprio posto di lavoro. Si parla, nel caso specifico, di 400 persone, per le quali le sigle sindacali avevano chiesto all'azienda il riassorbimento puntuale.

Ma al momento, non sembrano esserci risposte sul tema.

"Da tempo stavamo aspettando una riunione dove si delineasse un progetto industriale complessivo della chimica italiana - hanno fatto sapere dalla Filctem-Cgil - Come categoria, abbiamo sollecitato più volte affinché si potesse verificare anche lo stato di avanzamento sul progetto di chimica verde per Porto Marghera.

Purtroppo le aspettative sono state smentite dalla solita retorica e dalla solita modalità per cui ENI vuol sempre apparire come una società determinata ed intenzionata ad investire, ma allo stesso tempo chiude gli impianti.

Per noi questo è un puro esercizio di dialettica a senso unico, in quanto i dirigenti di questa società quando vengono messi di fronte ad alcuni temi specifici dove necessariamente bisogna dare delle risposte chiare, non sanno assolutamente rispondere e, come nell’ultimo caso, inveiscono contro chi chiede di avere trasparenza nei processi industriali, siano questi innovativi o di mantenimento della chimica di base. Questi soggetti accettano solo plausi, prostrazioni e adulazioni nei loro confronti purché non si entri nel merito vero.

Perché questo scetticismo anche se siamo messi di fronte ad un piano industriale di tale portata dove si parla di investimenti, di ricerca e quant’altro?

Il bilancio che possiamo fare su Porto Marghera si pone in questi termini: nel periodo 2014 sono stati siglati a Porto Marghera tre accordi, anche in sede ministeriale, tutti e 3 non sono stati assolutamente rispettati ma smentiti in tempi molto rapidi. Nella Raffineria di Porto Marghera c’è stato il primo elemento di riconversione industriale dopo un inizio importante che ci ha portati ad avere una raffineria “green” solo per metà in quanto il secondo step, previsto sempre dagli accordi ENI, sarà rispettato fra un paio d’anni perché gli investimenti sono stati bloccati.

Proprio parlando del secondo step della Raffineria, possiamo dire che questo doveva essere integrato con il progetto di chimica verde di Versalis, in quanto oltre allo stoccaggio dei prodotti, era previsto un impianto di idrogenazione su cui sappiamo che c’è uno studio tecnologico. Purtroppo però, da quello che capiamo e dalle risposte che hanno dato, non ci sono investimenti specifici ma anzi addirittura, diversamente da quanto affermato nei tavoli precedenti, la linea di ricerca sostiene che non serve più mettere in sinergia la Raffineria con Versalis in quanto ci sono risparmi economici.

Questo ci fa presagire che l’orientamento che sta prendendo questa società è diametralmente opposto ad un vero piano di sviluppo. C’è un’altra questione che va analizzata profondamente ed è quella della logistica in quanto, sempre dalle affermazioni fatte in autorità portuale da parte di ENI, c’è un orientamento più specifico sul piano della logistica che permetterebbe lo stoccaggio dei prodotti raffinati, tra i quali il bio diesel.

Un’altra considerazione che vogliamo fare sempre sulla questione della logistica e alla quale Versalis ed ENI non hanno risposto è questa: con il possibile utilizzo della pipeline che metteva in collegamento San Leonardo con il polo industriale di Mantova vi è la possibilità di costituire uno stoccaggio di prodotti raffinati utilizzando e ampliando il parco serbatoi di Mantova.

Questa ipotesi ci sembra molto probabile ma allo stesso tempo pensiamo che la società non sia più interessata realmente al piano industriale ma solo alla distribuzione di tutti i prodotti raffinati, così come sta dicendo Emma Marcegaglia definendo ENI una “oil company”.

I soldi impegnati quantomeno su carta a cosa servono? Ad un piano di bonifica generale che punta alla destrutturazione dell’ultima filiera importante come quella dell’etilene e dentro a quei soldi vi è anche il piano di gestione del personale? Perché proprio sul mantenimento dell’occupazione ENI non ha dato risposte chiare ed esaustive?

È molto probabile che ENI stia pensando ad un altro piano del tipo “Protocollo ENI”, ovvero chiusura impianti e mantenimento per due o tre anni dei lavoratori a stipendio pieno in modo da destrutturare anche una reazione sindacale.

Va anche detto che, tendenzialmente, ENI sta aprendo le contrapposizioni territoriali in maniera più aspra dicendo una cosa da una parte e il contrario dall’altra. Se questo è il modo di affrontare le relazioni industriali restiamo con profondi dubbi sul realizzo di qualsiasi progetto industriale.

La definitiva chiusura del cracking di Porto Marghera avrà pesanti ricadute nella filiera produttiva di Mantova e di Ferrara. Gli impianti collegati a questa filiera saranno esposti ad un rischio gravissimo in quanto l’etilene che arriva via nave non è in grado di garantire una continuità di rifornimento, a meno che la società non abbia già pensato a soluzioni alternative.
Non è possibile che nel sistema europeo l’etilene sia considerata una produzione importantissima nella quale altri paesi addirittura investono e sviluppano filiera; siamo arrivati al paradosso in cui altre società ci chiedono di riaprire gli impianti per produrre etilene che ENI aveva già inesorabilmente deciso di chiudere. Questa è un’anomalia industriale e può accadere solo nel nostro paese.

La cosa più negativa però è che queste scelte si scaricano inevitabilmente sui lavoratori che ovviamente non hanno più nessuna alternativa di lavoro. Non ci basta assistere a riunioni stucchevoli dove l’amministratore delegato dice di essere coerente nel presentare un piano. Se le cose restano così come abbiamo visto negli ultimi anni però, di piani ne possono presentare uno al giorno per fare bella figura; sugli atti concreti e reali è purtroppo evidente che questa società non ha più un orientamento specifico ma solo un orientamento, almeno per quanto ci riguarda, di chiusura degli impianti senza nulla di reale e concreto che veda un realizzo in tempi rapidi".

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