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Primo giorno di G20: a Venezia fuori si manifesta per l'Ambiente, dentro si parla delle multinazionali

Tasse, paradisi fiscali, ripresa economica post-pandemia... e ambiente.

Primo giorno di G20: a Venezia fuori si manifesta per l'Ambiente, dentro si parla delle multinazionali
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Sappiamo tutto: quanti sono gli agenti schierati in città (1500), quali sono le misure per aumentare la sicurezza dell'area circostante l'Arsenale, quando saranno le proteste dei dissidenti, quante sono le delegazioni presenti (63), e via dicendo. Sappiamo ogni dettaglio di quello che è il "contorno" per certi versi, del G20, il summit che riunisce nella Serenissima in questi giorni (fino a domenica) i rappresentanti, nello specifico, i ministri dell'Economia dei Paesi più potenti del Pianeta. Ma forse, quello che non sappiamo, o almeno, non tutti, è il motivo di tale "riunione": cosa dovranno decidere questi esponenti della classe dirigente delle nazioni coinvolte?

Primo giorno di G20: a Venezia fuori si manifesta per l'Ambiente, dentro si parla delle multinazionali

Quali argomenti tratteranno, o stanno trattando in queste ore, e quali conseguenze tale meeting avrà sulle vite di ciascuno di noi? Andiamo con ordine, e partiamo da un primo punto: il G20 è soprattutto orientato verso un "dibattito" economico. E questo già dovrebbe far suonare un campanello (non necessariamente d'allarme) nella testa di noi cittadini. Perché l'Economia (con la maiuscola voluta), inevitabilmente, influenza anche l'economica (con la minuscola) di tutti i giorni. Ecco, dunque, un breve riassunto di quanto già registrato nelle ore passate. Perché già poche ore dopo l'arrivo dei primi rappresentanti politici, infatti, la situazione attorno all'Arsenale si è "scaldata" e sono iniziate le proteste.

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I militanti di Extinction Rebellion Venezia, come annunciato, hanno espresso in modo pacifico il proprio dissenso, "incollandosi" letteralmente al cancello dell'Arsenale. Una protesta per far valere una visione diversa del futuro, come espresso dagli stessi referenti sui propri canali social.

"Nel primo giorno di meeting del G20 dell'economia, diversə attivistə si sono incollatə ai cancelli di sicurezza dell’Arsenale di Venezia per denunciare il fallimento dei 20 paesi più potenti al mondo nell’affrontare l’emergenza climatica in corso e la sesta estinzione di massa della storia.

 

I governi del G20 sono responsabili di circa il 75% delle emissioni globali di Co2 [Climate Transparency Report]. Nonostante tutti gli impegni presi e le dichiarazioni ufficiali, dal 2015 (l’anno in cui sono stati stipulati gli Accordi di Parigi), almeno 77 miliardi di dollari sono stati versati ogni anno dai governi dei paesi del G20 in progetti legati al petrolio, al gas fossile e al carbone [Oil Change International Report], mettendo a rischio la sicurezza mondiale e le vite di migliaia di persone [IPCC Report, 2018].

I governi hanno fallito e stanno condannando i propri cittadini ad un futuro di guerre, fame, migrazioni e siccità. I loro soldi saranno la nostra estinzione".

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E mentre fuori dall'Arsenale si protestava per i cambiamenti climatici e per le disparità economiche, dentro si parlava di tasse. E multinazionali.

Ieri il Global Forum on Productivity dell'Ocse, oggi l'International Taxation Symposium, domenica la conferenza sul clima

Prima di tutto, sul tavolo c'è la riforma della tassazione delle multinazionali per la quale c'è già un accordo, ma che ora arriva all'ultimo passaggio politico, dopo aver registrato il via libera alle regole che dovrebbero impedire, in futuro, la "fuga" dei capitali verso paradisi fiscali, verso quei Paesi, come il commissario Ue all'economia Paolo Gentiloni, ha definito quelli "dove si pagano meno tasse". Dopo il sì dei ministri dell'Economia e dei banchieri si dovrà affrontare uno scoglio: convincere gli Stati che ancora non sono d'accordo, come l'Estonia, l'Ungheria e l'Irlanda.

Global minimum tax, di cosa si tratta?

La Gmt prevede una tassazione di almeno il 15 per cento sui redditi delle multinazionali, e la ridistribuzione tra Paesi del prelievo. Un risultato, l'accordo su questo tema, che non sembrava poter essere alla portata, ma che grazie alla spinta del Presidente degli Stati Uniti Joe Biden, ha ricevuto una decisiva spinta verso un generale "sì". Accordo, però, che deve, come già detto, fare i conti con 9 Paesi su 39, ancora orientati verso il no.

Lo scorso primo luglio un’intesa era stata raggiunta da 130 Paesi dell’Ocse, che pesano per il 90 per cento del Pil mondiale. Contrari all'ipotesi, invece, come detto, Irlanda, Estonia, Ungheria, ma anche Perù, Barbados, Saint Vincent e Grenadine, Sri Lanka, Nigeria e Kenya, mentre Cipro non ha preso parte al negoziato.

Ripresa economica post-pandemia

Hot topic del summit, ovviamente, sarà la ripartenza dell'economia dopo la crisi innescata dalla diffusione del Covid. Crisi che ancora oggi è in corso e sulla quale occorrerà, evidentemente, investire sforzi, impegno, denaro e pure una buona dose di creatività per trovare soluzioni. Il futuro del pianeta, dunque, passa anche da qui, da Venezia. Sì, perché sarà vitale il confronto tra i 20 grandi della terra.

Campagna vaccinale, rischi delle varianti, inflazione, fragilità dei mercati emergenti. In agenda la discussione, orientata dalla ministra Janet Yellen, sul non revocare in modo prematuro gli interventi a sostegno delle economie. Usa e Ue sono d'accordo: le esigenze della ripresa vengono prima dei timori del mercato. Traino della ripresa economica saranno, come prevedibile, Stati Uniti e Cina. Ma molti Paesi sono indietro e dovranno fare i conti con l'ulteriore batosta provocata dal Covid. Ecco perché il Fondo Monetario ha dato oggi il via libera allo stanziamento (senza precedenti nella storia) di 650 miliardi di dollari per fronteggiare la più grave crisi dalla Grande depressione.

Tema (caldissimo) in agenda: il surriscaldamento globale

Non poteva di certo mancare, nell'anno in cui in Canada si sono toccati i 50 gradi, il confronto sul tema del clima. E su questo argomento sembrano tutti d'accordo: si riconosce il fenomeno, e pure i danni. Quello che manca, forse è una strategia unitaria sul come combatterlo.

Biden ha riportato il tema centrale nel dibattito americano. Ma non basta. C'è la Cina e anche l'Europa. E le agende verdi. Ma le lancette corrono, il tempo passa, e ogni giorno si percepisce un motivo di apprensione. Dal Canada rovente al Brasile che divora il polmone verde, dai tornado a Chivasso alle bombe d'acqua sempre più frequenti. Che il clima sia un po' impazzito, sembra ormai un dato piuttosto verificabile. Si troverà un accordo tra tutti gli Stati? Oppure sarà già troppo tardi?

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