Meningite scambiata per otite, morto un 58enne: l'azienda sanitaria dovrà risarcire i famigliari
Le prestazioni fornite dai medici sono state considerate inadeguate: l'uomo si sarebbe potuto salvare.
Si era recato al pronto soccorso di San Donà di Piave per un’otite con febbre ed era stato rimandato a casa con la prescrizione di un antibiotico e un antinfiammatorio, ma senz’alcuna altra indicazione e senza alcuna prescrizione di un controllo a breve scadenza, nonostante le otiti possano evolvere in meningiti, come purtroppo è accaduto: una meningite streptococcica che dopo un mese di agonia lo avrebbe stroncato, a soli 58 anni.
Meningite scambiata per otite, morto un 58enne
C’è voluta una battaglia lunga dieci anni, ma alla fine i familiari di Luigino Surian hanno ottenuto verità e giustizia in sede civile: il Tribunale di Venezia ha riconosciuto l’inadeguatezza delle prestazioni fornite dai medici al paziente al suo primo accesso ospedaliero, ha ritenuto provato che, se fosse stato disposto un “ricontrollo” delle sue condizioni o gli fossero state impartite le dovute istruzioni in tal senso, e se quindi fosse ritornato prima in ospedale, con ogni probabilità si sarebbe potuto salvare, e ha accertato la responsabilità contrattuale dell’Asl 4, condannandola a risarcire la moglie, i figli e anche i nipoti di una somma complessiva di un milione e centomila euro, oltre a rivalutazione monetaria e interessi.
Un volto noto a Jesolo e in tutto il Veneto
Luigino Surian, conosciutissimo non solo a Jesolo, dove risiedeva, ma anche nel Trevigiano per aver fondato e diretto l’istituto scolastico paritario “Giuseppe Mazzini” di Treviso, il 6 ottobre 2010 accede al pronto soccorso dell’ospedale di San Donà dell’Asl 4 lamentando un quadro otitico febbrile. Viene visitato da uno specialista in otorinolaringoiatria, che gli diagnostica un’otite bolsa emorragica destra e gli prescrive un trattamento antibiotico e uno antinfiammatorio, dimettendolo.
Nei giorni seguenti però le cure non danno effetto, anzi, la situazione peggiora sempre di più, la febbre sale a 40, finché i congiunti, il 13 ottobre, chiamano il 118 e il cinquantottenne viene condotto in ambulanza all’ospedale di Jesolo, dove gli diagnosticano un grave stato di “coma da meningite streptococcica”: i successivi accertamenti confermano la positività agli antigeni dello “Streptococco Pneumoniae”.
Si sarebbe potuto salvare
Al vicino e più attrezzato ospedale di San Donà al momento non ci sono posti letto disponibili e quindi il paziente viene trasferito al nosocomio di Chioggia che fa capo all’attuale Asl 3, e qui, all’esito di una risonanza magnetica, viene accertata la diffusione di un processo flogistico dagli spazi meningei al cervelletto, al tronco e a entrambi gli emisferi cerebrali. Surian rimarrà in coma per tutto il periodo della sua degenza e della sua agonia: spira il 7 novembre 2010 all’ospedale di Jesolo, dov’era stato riportato dal nosocomio di Chioggia il 30 ottobre.
"Condotta inadeguata"
I suoi congiunti da subito hanno espresso molte riserve sulla condotta dei sanitari e si sono rivolti a dei patrocinatori per chiedere i danni alle strutture sanitarie coinvolte: in particolare, una figlia e un nipote, attraverso il responsabile della sede di San Donà di Piave, Riccardo Vizzi, si sono affidati a Studio3A-Valore S.p.A., società specializzata a livello nazionale nel risarcimento danni e nella tutela dei diritti dei cittadini. La controparte, tuttavia, ha sempre denegato qualsiasi addebito. Di qui la citazione in causa avanti il Tribunale di Venezia, seconda sezione civile, affidata al giudice dott.ssa Silvia Zeminian, che ha disposto una consulenza tecnica medico legale affidata al Prof. Nico Zaramella. Le cui conclusioni non lasciano spazio a dubbi.
La perizia
“Le prestazioni erogate presso il pronto soccorso di San Donà il 6 ottobre 2010 non risultano corrette - scrive nella sua perizia il Prof. Zaramella - Se il trattamento farmacologico appare anche condivisibile, non sussiste però alcuna classificazione della gravità del quadro (entità del dolore, gravità della iperpiressia, durata della sintomatologia), alcuna pianificazione o indicazione della modalità di assunzione del trattamento antibiotico e non risulta prescritta alcuna valutazione o controllo, in termini congrui, né almeno impartite indicazioni atte ad allarmare il paziente e i suoi congiunti qualora la sintomatologia non fosse regredita in breve termine, 48-72 ore”: nel caso in cui l’evoluzione favorevole non fosse avvenuta, infatti, spiega il consulente tecnico, sarebbe stato necessario procedere subito con “provvedimenti di seconda fascia al fine di prevenire l’insorgenza di complicanze per continuità, contiguità e soprattutto endocraniche”.
Omissioni accertate
A parere del Ctu, inoltre, questi elementi, in particolare la prescrizione o l’indicazione di ricorrere a ulteriori controlli se la sintomatologia non fosse migliorata nell’arco di 2-3 giorni, sarebbero risultati “fondamentali per consentire, con elevatissima possibilità di successo (prossima al cento per cento), il trattamento di complicanze otomastoiditiche o anche endocraniche all’esordio, ovvero in condizioni complessive tali da consentire l’esteriorizzazione chirurgica e l’approccio a eventuali flogosi meningee in assenza di compromissione encefalitica e stato di coma”.
Dalle omissioni, invece, è derivato un intervallo cronologico “inaccettabile” causando un ritardo tra l’erogazione delle prime cure e il secondo intervento a sette giorni di distanza, quando il paziente versava già in stato di coma: al suo secondo accesso all’ospedale di Jesolo, infatti, la sua situazione era ormai compromessa, i medici hanno dovuto procedere con l’intubazione orotracheale con ventilazione meccanica, con l’applicazione del sondino gastrico, del catetere vescicole e la somministrazione di sostegno farmacologico di “sopravvivenza”.
Salvarlo è stato impossibile
Dunque, per il Ctu “il mancato controllo “brevi tempore” dopo l’esordio del trattamento del paziente (o le mancate precise e specifiche indicazioni date in tal senso al paziente e ai suoi congiunti) risulta causalmente determinante nell’insorgenza di complicanze endocraniche gravissime”, ragion per cui secondo il giudice è risultata comprovata “la sussistenza di responsabilità in capo ai sanitari dell’Azienda Ulss 4 Veneto Orientale, sia sotto il profilo dell’inadempimento, sia sotto l’aspetto della sussistenza del nesso causale (giuridico e materiale)”. Escluse dal prof. Zaramella, invece, responsabilità da parte dei sanitari che intervennero in un secondo tempo (a Jesolo e a Chioggia), in quanto il paziente era giunto nei rispettivi presidi “in condizioni gravissime e tali da non consentire l’ipotesi di un esito favorevole, quanto meno basato sul criterio del più probabile che non”.
Maxi risarcimento
Al termine dell’udienza per le conclusioni tenutasi martedì 7 settembre 2021, e dopo essersi ritirata in camera di consiglio, dunque, la dott.ssa Zeminian ha pronunciato l’attesa sentenza e, acclarata la responsabilità contrattuale dell’Asl 4, l’ha condannata a risarcire i familiari di tutti i danni patiti per la perdita del proprio caro, accogliendo in larga parte anche nel “quantum”, oltre che nella richiesta di condanna, le istanze dei patrocinatori delle parti offese, oltre a tutte le spese di lite: un maxi risarcimento da 1,1 milioni. Ma la soddisfazione più grande per la famiglia e per Studio3A è quella di aver finalmente reso giustizia, sia pur solo in sede civile, a Luigino Surian.