Stamattina il blitz

Imprenditore veneziano di origini nobili sotto accusa per mafia: avrebbe finanziato un fedelissimo di Riina

Le Forze dell'ordine hanno perquisito lo storico palazzo alle Fondamenta Nuove

Imprenditore veneziano di origini nobili sotto accusa per mafia: avrebbe finanziato un fedelissimo di Riina
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Un'accusa gravissima quella a carico del noto imprenditore veneziano di origini nobili, Francesco Donà dalle Rose: aver investito 4 milioni di euro per l'acquisto, per conto del boss di Sciacca, Salvatore Di Giangi, di un resort di lusso (nella foto di copertina) in provincia di Agrigento.

Imprenditore veneziano di origini nobili sotto accusa per mafia

Di Giangi è ritenuto un fedelissimo di Totò Riina. Martedì mattina nel palazzo di Fondamenta Nuove, e anche in altri edifici di sua proprietà o a lui riferibili, anche in Sicilia, si è presentata la Guardia di Finanza del nucleo di polizia economico finanziaria di Palermo, per cercare tracce a sostegno dell'accusa.

L'imprenditore, dunque, è indagato dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo per concorso in riciclaggio con l'aggravante mafiosa. Per la difesa, però, si tratterebbe di un "abbaglio, di un grande incubo", come riportato dal Corriere della Sera.

A far partire le indagini è stato il blitz della Finanza nelle sedi di due filiali di un importante istituto di credito a Palermo, e quelle di otto indagati, ma pure in uno studio commercialista a Zelarino (non indagato) dove gli inquirenti pensavano di poter trovare documentazione che chiarisse la vicenda.

Avrebbe finanziato un fedelissimo di Riina

Sembra, secondo l'accusa, che il resort di lusso di Torre Macauda sia tornato nelle mani del boss Di Giangi anche grazie all'imprenditore veneziano, uno dei soci di una immobiliare dietro cui si sarebbe nascosto il fedelissimo di Riina. Un'operazione finanziaria a dir poco sospetta: il prezzo di acquisto, per i finanzieri, era di 8 milioni ma di soldi versati ne risultano solo 4 alla società immobiliare.

E la differenza? Secondo l'accusa sarebbe stata coperta da una quietanza "falsa", firmata da un funzionario ora indagato. Il resort era stato confiscato in passato, e poi era stato restituito a un sospetto prestanome. I debiti avevano condotto a un'asta, vinta appunto dalla società "vicina" al boss.

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