L'approfondimento

Porto di Venezia e guerra in Ucraina: perché può diventare strategico per l'intera filiera industriale italiana

Un aspetto che magari si considera poco: la guerra in Ucraina, a breve, inizierà a farsi sentire anche in Italia. Soprattutto nell'ambito dell'approvvigionamento di beni. Ma c'è una soluzione? Come si dovrà affrontare il prossimo periodo? Il porto di Venezia potrebbe davvero fare la differenza...

Porto di Venezia e guerra in Ucraina: perché può diventare strategico per l'intera filiera industriale italiana
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Da soli, i due porti di Venezia e Ravenna movimentano i due terzi dell'agroalimentare nazionale. Con la guerra, però, si sono fermate le importazioni da Ucraina e Russia. Riposizionare le catene dell'approvvigionamento, quindi, è davvero necessario. Proprio per non mettere in crisi il sistema commerciale e produttivo dell'intera Pianura Padana. Dopo il Covid, quindi, quella che si apre ora è un'occasione di rilancio per il porto di Venezia che grazie al "pescaggio" elevato può essere un tassello importante in uno scenario tutto da scrivere.

Porto di Venezia e guerra in Ucraina: perché può diventare strategico per l'intera filiera industriale italiana

Guerra. Ma non solo fatta di armi e feriti, di militari e profughi. E nemmeno quella caratterizzata da sanzioni, pesantissime e da perdite in ambito finanziario. La guerra, e oggi lo sappiamo purtroppo tutti benissimo, si combatte anche a colpi di blocchi navali. E questo per il nostro Paese, significa soprattutto conseguenze in tutta la filiera produttiva e commerciale. Come se ne esce? Venezia sta provando a immaginare uno scenario diverso, grazie al pescaggio profondo, di undici metri, che garantirebbe l'attracco di navi molto grandi, quelle che dovranno solcare gli oceani per reperire i beni necessari. Sì, perché fermando la "macchina" con i blocchi in Ucraina e Russia le merci dovranno essere acquistate altrove. I viaggi saranno più lunghi. Le navi sulle quali si sposteranno più grandi. E i costi, probabilmente cresceranno.

Dal porto di Mariupol parte (partiva) il 70 per cento dei beni ucraini verso l'Italia. Mariupol, oggi, in pratica, non esiste più ed è ridotta a un cumulo di macerie. I primi effetti si sentiranno già nel mese di aprile. Sul totale dei volumi che vengono movimentati nel porto di Venezia, soprattutto nell'import, l'Ucraina pesa per il 6 per cento, la Russia il 7 per cento. Per un totale di circa 3 milioni e mezzo di tonnellate. Grani, semi, farine, olio, ma anche prodotti siderurgici, materie fondamentali che vengono lentamente a mancare. Ma gli armatori non stanno a guardare. E si pensa già a come uscire da questa crisi.

"Le catene di approvvigionamento si stanno rimodulando - ha spiegato Alessandro Santi, Venezia Port Community - Ci vuole un po' di tempo ma già vediamo che i Paesi d'origine cambiano. E quindi la merce comincerà ad affluire verso i porti strategici del Nord Adriatico. Per esempio arriveranno dal Brasile, dall'India, dal Canada, dagli Stati Uniti".

Ma questo avrà delle conseguenze.

"Tratte più lunghe comporteranno costi maggiori - ha spiegato Fulvio Lino Di Blasio, presidente autorità portuale Alto Adriatico - Sia nella logistica che nel trasporto. Le ricadute si sentiranno soprattutto nei prezzi al consumo".

Navi più grandi per tratte più lunghe, una sfida in più per il porto di Venezia.

Navi che arrivano da porti con alti pescaggi hanno bisogno di porti ad alto pescaggio. Sembra un gioco di parole ma è un aspetto importante. Il porto di Venezia, infatti, ha un pescaggio di undici metri e mezzo. Più anche di Ravenna. Questo può davvero fare la differenza...

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