Non che ci volesse molto ancora: il fenomeno della natalità addebitabile alle famiglie italiane, dato che a mettere al mondo i figli sono le famiglie straniere che qui in Italia hanno trovato condizioni di vita migliori di quelle dei Paesi da dove arrivano, giocoforza avrebbe portato ad una sorta di sostituzione che si avverte proprio a partire dalla più giovane età.
Il cambiamento della scuola
Ne sanno qualcosa le nostre maestre già in difficoltà a mantenere la barra a dritta quando poche sono le famiglie di alunni stranieri a pretendere trattamenti differenziati in ragione delle tradizioni religiose o alimentari; figurarsi quando sono praticamente tutti gli alunni di una classe ad essere di provenienza straniera.
Così, mentre la gioventù italica va all’apericena con il cane nel passeggino, c’è chi, avendo sudato una vita famigliare migliore, spera di poterla continuare essendo, anzi, stato additato ad esempio di integrazione, quando i numeri non facevano se non paura, riflettere.
L’esperienza a Mestre
Già, perché a Mestre, nella scuola elementare Cesare Battisti (uno dei cinque plessi del comprensivo “Caio Giulio Cesare”), già simbolo di integrazione fin dagli inizi degli anni Novanta, appunto, ci si è resi conto che i bambini nati all’estero, o in Italia da genitori stranieri, sono più degli autoctoni. Un solo italiano (una decina invece se si considerano anche i ragazzi di seconda generazione) risultano tra i 61 iscritti totali.
E parte la polemica: è bastato che suonasse la campanella perché all’appello fosse più chiaro l’andamento demografico e di come siano sempre meno anche gli alunni italiani.
La polemica, per la verità è tutta esterna alla scuola e frutto di considerazioni di quelle stesse persone che sono causa del proprio male: i ragazzi, infatti, vivono con molta più naturalezza la promiscuità che sta cambiando il profilo del loro Istituto scolastico.
I rappresentanti
Con serenità, guarda a questi cambiamenti anche Laura Besio, Assessore alle politiche educative, intervistata sull’argomento, la quale non può che prendere atto di una situazione che fa scalpore fuori dalla scuola piuttosto che dentro.

Anche Kamrul Syed, portavoce della Comunità bengalese a Venezia, fatta di commercianti, addetti alla ristorazione, ai cantieri navali o lavoratori autonomi, considera:
“Solo gli adulti riescono a dare connotazione negativa ad un fenomeno che non sfiora i ragazzi e che è, di fatto, nella natura delle cose”.

I dati demografici sono impietosi quanto possono esserlo i numeri: le famiglie straniere fanno più figli rispetto a quelle italiane e ciò, anziché polemiche, dovrebbe dare la stura a riflessioni sociali e culturali.
Sapranno quelli che ora sono compagni di banco, crescendo insieme ai bambini italiani, apprezzare il benessere che le loro famiglie sono venute a cercare in Italia ed a non farle perdere la tradizione democratica conquistata in tanto tempo?