Alberto Trentini, la mamma a Che Tempo Che Fa: "Non lo sento da tre mesi, Meloni lo riporti a casa come ha fatto con Sala"
"Alberto è un cooperante: ha scelto questo mestiere perché ama aiutare chi è in difficoltà. Ora è in carcere, ma mi è stato detto che sta bene. Voglio solo che torni a casa"
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Sono ormai trascorsi tre mesi da quando Alberto Trentini, cooperante veneziano, è stato arrestato in Venezuela con l’accusa di terrorismo. Il 45enne, originario del Lido di Venezia, si trova in carcere a Caracas, ma dal 15 novembre 2024 non si hanno sue notizie. La preoccupazione della famiglia è massima, come testimoniato anche da Armanda, mamma di Alberto, che nella serata di domenica 16 febbraio 2025 è stata ospite a "Che Tempo Che Fa", programma sul Nove condotto da Fabio Fazio (in copertina: immagine di Mongini Comunicazione).
"Non lo sento da tre mesi - ha dichiarato Armanda in diretta -. Meloni me lo riporti a casa come ha fatto con Cecilia Sala".
La mamma di Alberto Trentini intervistata a Che Tempo Che Fa
“Non ho notizie di Alberto dal 15 novembre 2024. Voglio dire che il 15 novembre lui era all’aeroporto e come al solito, perché ci sentivamo con messaggi o con videochiamate ogni giorno, dall’aeroporto di Caracas mi ha mandato un saluto, come era solito fare. Poi ho aspettato, come eravamo abituati, di ricevere i saluti quando arrivava a destinazione e con i saluti la piccola mappa di Google.
Non è mai arrivata, la notte l’ho cercata perché con il fuso orario avrei dovuto trovare il messaggio, e la sera del 16 ci hanno avvertito che era in stato di fermo. Da allora di Alberto non abbiamo avuto notizie. È isolato e non ci risulta che abbia incontrato nessuno, non ha potuto chiedere di parlare con un avvocato o di contattare la sua famiglia, nulla".
Così Armanda Trentini, madre di Alberto Trentini, il cooperante dell’ong internazionale Humanity&Inclusion, da oltre 90 giorni detenuto in un carcere di Caracas, Venezuela, con accusa di terrorismo, a Che Tempo Che Fa sul canale Nove.
Qui di seguito, ecco alcuni passaggi della sua intervista.
Sulla missione in Venezuela:
“Alberto è un cooperante, e ha scelto questo mestiere perché amava aiutare chi era in stato di necessità. E ne aveva fatto la sua missione, aveva studiato per prepararsi, aveva preso una specializzazione a Liverpool poi un Master a Litz sulla sanificazione dell’acqua, era specializzato anche nelle emergenze.
Per lui era la sua passione e la sua missione. Aveva scelto questa ong che si occupava di persone con disabilità perché si era innamorato di una ragazza che viveva là, per stare vicino a lei. Era arrivato da poco tempo, per questo noi siamo rimasti sconvolti da questo stato di fermo, non ce lo spieghiamo e da 3 mesi non lo sentiamo".
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Sulla salute del figlio:
“Ci è stato riferito che sta discretamente bene. Prima ci hanno avvertiti che è vivo e non avendo altre notizie è stata una buona notizia. Poi [ci hanno detto] che la sua salute è discreta e che può prendere il farmaco di cui ha bisogno. Siamo seguiti sin dai primi momenti dall’avvocata Alessandra Ballerini, che ci informa perché tiene i contatti con la Farnesina e con le istituzioni consolari. Da Alberto non abbiamo mai avuto nulla, non abbiamo avuto nessun contatto, la nostra disperazione è questa. Può immaginare…”.
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Cosa si aspetta?
“Mi aspetto che arrivi una telefonata di Alberto, è un desiderio che abbiamo dal 15 novembre. Poi, poiché ho scritto una lettera e la nostra avvocata l’ha inoltrata alla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, e proprio perché è madre pure lei, mi aspetto che me lo porti a casa, che percorra delle strade anche facendosi aiutare dalle Istituzioni di altri Paesi come è stato fatto per la nostra giornalista Cecilia Sala”.
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Sull’attesa e la speranza:
“[ogni volta che arriva una telefonata] è una speranza e una delusione, non demordiamo poi, provi a immaginare le nostre notti così lunghe… ma non ci spaventano le notti lunghe, perché così abbiamo tempo di pensare, di connetterci con lui. E poi, ci resta un rammarico grande: 3 mesi, quante belle cose avrebbe fatto in questi 3 mesi Alberto invece che rinchiuderlo e togliergli ogni contatto con il mondo. È una cosa che davvero rattrista questa, e anche se abbiamo gli amici di Alberto, gli amici di famiglia, la parrocchia… ci sono vicini ma Alberto bisogna portarlo a casa, bisogna…
Volevo ringraziare anche le persone che sono sparse un po’ per il mondo, gli amici e i colleghi di Alberto quando l’hanno conosciuto in Ecuador o in Nepal, in Perù o in Grecia. A loro modo si sono attivati per tener vivo il ricordo di Alberto e perciò sono grata. Ma c’è qualcuno che sui social ha usato il nome di Alberto, la foto di Alberto, la foto anche di famiglia e si spaccia per Alberto… questa per noi è una cosa crudele. Le mie sorelle turnano da altre città per non lasciarci soli, e questo per noi è un sollievo, anche se abbiamo anche i parrocchiani che quando abbiamo bisogno… e abbiamo bisogno anche di preghiere… Abbiamo bisogno di tutto e di tutti perché torni a casa questo ragazzo”.
Nel frattempo, non si fermano le manifestazioni di piazza in solidarietà nei confronti di Alberto Trentini.
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