Miranese, il dramma dei commercianti di moda e calzature
Dal Miranese il grido di marchi come Cappelletto, Barca, Corò, Kartika. Confcommercio: «Stop senza senso, stessi rischi di altre attività aperte».
Confcommercio del Miranese ha raccolto il grido dei commercianti del settore moda, l'unico settore veramente chiuso dai decreti in un mare di deroghe.
Miranese, il dramma dei commercianti di moda e calzature
Il grido adesso è dei negozi di abbigliamento e calzature, chiusi un’altra primavera, nel clou della stagione e proprio al momento di mettere mano al campionario. Ma questa volta, a differenza di un anno fa, soli a dover abbassare le serrande in un mare di deroghe che si traducono in aperture.
A lanciare l’allarme è Confcommercio del Miranese, che in questa prima settimana in zona rossa ha raccolto i timori e l’amarezza dei titolari di boutique e operatori del settore moda sul territorio.
«Una situazione insostenibile – spiega il presidente di Confcommercio del Miranese, Ennio Gallo – perché coinvolge solamente quella parte di settore che, ad esempio, non ha un reparto bambini. Non se ne capisce davvero il senso. È assurdo che settori così importanti vengano fermati: è in gioco tutta la filiera produttiva, dove il commercio al dettaglio è solo l’ultimo anello. Si finisce per mettere in difficoltà il Made in Italy e proprio in un momento in cui le vendite di primavera solitamente decollano e si comincia già a pensare al campionario autunno-inverno».
«Sono coinvolti pochi negozi – fa notare la direttrice dell’associazione Tiziana Molinari – e proprio per questo i titolari si rivolgono a noi chiedendo perché molti punti vendita lavorino, semplicemente perché hanno prodotti diversi o una clientela particolare e a loro invece non sia concesso. Oggi si può acquistare di tutto: profumi, detersivi, fiori, ovviamente alimentari. Solo chi opera nella moda è penalizzato, pur avendo le stesse regole degli altri: è una chiusura che non ha motivo e penalizza pochi imprenditori senza ragione».
Le testimonianze dei negozianti esasperati
Serrande abbassate, capi primaverili invenduti nel clou della stagione, campionario in stand-by. E poi c’è il settore ambulante, più penalizzato tra i penalizzati: nei mercati infatti gli ultimi decreti hanno fatto piazza pulita di tutti i banchi non alimentari o non agricoli, in primis proprio quelli operanti nel settore abbigliamento e calzature.
«La chiusura nei mercati riguarda anche tutte le attività che nel fisso posso rimanere aperte – continuano i vertici di Confcommercio - Che senso hanno allora queste differenze? Creano diseguaglianze tra imprenditori: in questo caso due terzi delle attività sono penalizzate».
Paolo Cappelletto, che ha un negozio di calzature in centro a Noale, oltre che a Castelfranco Veneto, si chiede quale sia il rischio nel tenere aperta una bottega di scarpe:
«Qualcuno ha mai visto code o assembramenti in questi negozi? Entreranno in media 10 clienti l’ora. Ma soprattutto non capiamo il senso di chiuderci quando fuori lavorano tutti. Noi lo abbiamo sempre fatto e continuiamo a farlo in sicurezza, come tutti gli altri: qual è la differenza tra vendere scarpe o altri prodotti?».
C’è poi la questione ordini:
«Questo tipo di attività – spiega Cappelletto – vive sulla programmazione a medio termine: gli ordini di oggi sono stati programmati 8-10 mesi fa e la merce presa allora, oggi è in scaffale senza poter essere venduta: tra un mese sarà tardi. Tutti noi commercianti abbiamo costi di gestione più o meno simili, noi però perdiamo merce di mesi».
Da Scorzè, Maurizio Sabadin, titolare del negozio di abbigliamento Kartika e di un’agenzia di rappresentanza moda, quindi con una visione che va oltre il territorio, sottolinea ancor più l’aspetto stagionale, che mette a terra ogni speranza di ripresa in un periodo clou dell’anno come quello della primavera, legato al mondo degli eventi:
«Per quanto riguarda l’abbigliamento, tanti negozi tradizionali in questi anni si sono specializzati sul settore wedding (cerimonie, eventi di gala…) dove vengono richieste esperienza, professionalità e importanti investimenti, sia di prodotto che di location. Chiudere per l’ennesima volta è inconcepibile soprattutto per le nostre realtà che non rientrano nella grande distribuzione e che da tempo si sono organizzate per dare un servizio su appuntamento, nel massimo rispetto delle regole».
In centro a Maerne, Lionello Corò, di Moda Corò, parla di protesta muta:
«Perché nessuno sembra ascoltarci: a Natale abbiamo gridato, a Pasqua siamo di nuovo chiusi. Solo i clienti cominciano ad accorgersi della stranezza di una piazza tutta aperta, a parte chi tratta moda, calzature e parrucchieri. Non riusciamo a capire perché solo noi: siamo tra quelli che più avevano regole stringenti, come non far entrare più di 5 persone in negozio e le abbiamo sempre osservate, ma soprattutto non capiamo perché un capo uguale ai nostri possa essere acquistato in un negozio di articoli sportivi o addirittura al supermercato, che sono rimasti aperti. Solo noi diffondiamo il Covid?»
Nel caso dei negozi Barca, che da Scorzè si è allargato fino ad annoverare 20 punti vendita in tutta Italia, è in gioco anche lo sviluppo dell’azienda:
«Stavamo rilanciando la nostra attività – spiegano i titolari, i fratelli Marco e Francesco Pellizzon – con l’apertura di due nuovi punti vendita a Roma e Rimini, oltre Milano e Bologna e ci hanno fermato sul più bello: con negozi già allestiti e merce pagata, ma impossibilitati a venderla. È paradossale che anche chi sta cercando di ripartire investendo, debba restare fermo. Restiamo fiduciosi che almeno dopo Pasqua si possa ripartire, anche nel piano dello sviluppo».